A cosa servono le emozioni?

Le emozioni ci fanno spesso soffrire e sembra che complichino la nostra vita. Ma a cosa servono? Si potrebbe farne a meno?La risposta è NO, perché le emozioni servono a darci dei superpoteri che ci “trasformano” quando succede qualcosa di importante e rilevante. Le emozioni in questo modo ci rendono più adattati all’ambiente (fisico e sociale): senza di esse probabilmente ci saremmo estinti nella savana.

Nella letteratura scientifica le emozioni sono considerate come degli stati intensi che, se presenti in misura eccessiva, rischiano di minare il benessere della persona che le sperimenta. Tuttavia, capire la funzione dell’emozione in relazione alla circostanza in cui viene vissuta può aiutarci ad accrescere la nostra abilità di utilizzare al meglio i nostri stati emotivi, anche quelli negativi, traendone dei benefici.

Dare una definizione precisa delle emozioni è molto difficile in quanto esse differiscono ampiamente in termini di cause, reazioni fisiologiche, aspetti cognitivi, intensità e valenza. Inoltre, il modo in cui sperimentiamo un’emozione è così personale che è quasi impossibile trasmettere il suo significato in modo inequivocabile.

Da un punto di vista evolutivo, l’emergere delle emozioni è legato ai processi di selezione naturale che, nel corso dell’evoluzione dell’essere umano, hanno promosso la sopravvivenza e la riproduzione di chi ha saputo utilizzare le proprie emozioni per risolvere problemi di natura adattiva. Ad esempio, la funzione della rabbia potrebbe essere stata quella di intimidire gli altri affinché fossero scoraggiati scontri tra consimili. Ciò avrebbe permesso di preservare gli interessi e le risorse di coloro che hanno espresso la loro rabbia circa gli insulti subiti. Tuttavia, il fatto che un’emozione sia funzionale non significa necessariamente che sia anche positiva per l’individuo che la sperimenta. Tornando all’esempio della rabbia: le risposte colleriche di un individuo potrebbero effettivamente risolvere il problema che le ha elicitate, ma è altrettanto probabile che esse conducano a risvolti negativi per tutti coloro che sono coinvolti (sentimenti di vendetta, sfiducia, paura). Infine, la stessa emozione può essere funzionale o meno in base alla circostanza in cui si manifesta.

In conclusione, migliorare l’abilità di identificare le proprie emozioni e di comprenderne la funzione permette di avere una consapevolezza maggiore circa il valore dei nostri stati emotivi e di trarre il massimo beneficio sia da esperienze positive che negative, senza esserne sopraffatti.

Rabbia: Quando e perché ci arrabbiamo

Diverse ricerche hanno individuato due principali cause della rabbia:

  • il non riuscire a raggiungere un obiettivo nonostante la motivazione
  • il percepire che l’altra persona ha più controllo di noi

La rabbia servirebbe a:

  • salvaguardare la sopravvivenza fisica eliminando le possibili minacce
  • interrompere e impedire le trasgressioni da parte di altre persone
  • rimediare alle ingiustizie
  • motivare la persona arrabbiata a non sentirsi sottomesso e ad acquisire superiorità

La più precisa descrizione della specifica funzione della rabbia può essere quella di costringere una persona a cambiare il suo comportamento, cambiare forzatamente cosa sarebbe stato altrimenti.

Quando e perché proviamo paura

La paura e l’ansia sono emozioni legate ad una percezione di minaccia, percepita come possibile danno a se stessi o ad altri, sia fisico che morale. L’ansia quindi nasce anche nei contesti sociali in cui la nostra reputazione potrebbe essere “rovinata”, pensiamo ad esempio al parlare in pubblico. La paura quindi nasce per proteggerci e come diceva Leonardo Da Vinci “Chi teme i pericoli non perisce per quegli.

Quando e perché proviamo tristezza?

Ci sentiamo tristi generalmente quando abbiamo la percezione di non essere capaci di raggiungere un determinato obiettivo o una condizione di piacevolezza. Tra le possibili cause della tristezza ci sono il lutto, la separazione dalle persone significative, la fine di una relazione d’amore, la perdita del lavoro, l’esclusione sociale e le mancate opportunità di partecipare ad attività piacevoli (Carnelley et al., 2006; Nesse, 1990; Sbarra, 2006).

Una delle componenti principali della tristezza è la percezione che il non raggiungimento dell’obiettivo o il fallimento siano irrevocabili, il che dimostra come la percezione di avere poco potere su una determinata situazione porti la persona a sentirsi triste. Quando le persone adulte falliscono nel raggiungimento di un qualche obiettivo a livello sociale, lavorativo o personale, dimostrano di provare una tristezza maggiore se credono di avere un controllo più basso.

Gli studiosi delle emozioni ritengono che la tristezza, come le altre emozioni, sia stata conservata nell’evoluzione umana perché aiuta a risolvere vari problemi in cui gli uomini primitivi si imbattevano. Quando il fallimento dell’obiettivo prefissato diventa immodificabile a causa della limitata disponibilità di risorse della persona, la tristezza può avere due funzioni. La prima è quella di segnalare agli altri il bisogno di aiuto elicitato dalle espressioni e dai comportamenti tipici della persona triste. Quando questo aiuto non è disponibile o è inefficiente, la tristezza promuove dei cambiamenti a livello cognitivo che facilitano l’adattamento alla perdita. La tristezza aiuta a:

  • capire le implicazioni e le conseguenze della perdita
  • smantellare le credenze e le aspettative irrealistiche
  • evitare sforzi verso un obiettivo irraggiungibile, affinché siano pianificati obiettivi alternativi

Risulta chiaro come la tristezza non è, quindi, un’emozione caratterizzata da passività, tutt’altro: il processo di ristrutturazione cognitiva è un processo impegnativo che porta la persona a mantenere una rappresentazione accurata dei limiti del mondo reale (Carver &Scheier, 1990; Levine & Edelstein, 2009; Heckhausen et al., 2010; Mendola et al., 1990).

 

 

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