Lavorare in psicoterapia con le emozioni per il cambiamento

Teoria e ricerca hanno portato allo sviluppo di una serie di principi su base empirica necessari per il cambiamento emotivo.

Secondo Greenberg (2010) il cambiamento emotivo avviene attraverso almeno sei processi descritti brevemente di seguito: la sensibilizzazione,  l’espressione, la regolazione, la riflessione, la trasformazione e l’esperienza emozionale correttiva. Questi processi sono facilitati quando si verificano nel contesto di una relazione empatica.

Consapevolezza. La consapevolezza delle emozioni è il principio più importante nel cambiamento. Diventare consapevoli dell’esperienza emotiva e poterla verbalizzare fornisce l’accesso alle informazioni adattive e alla tendenza d’azione propria di ogni emozione. Una volta che la persona conosce quello che sente, si ricollega alla esigenze che vengono segnalate dall’emozione e si motiva per soddisfarle. È utile, nel lavorare con la consapevolezza, fare una distinzione tra la consapevolezza delle emozioni di base e la consapevolezza delle sensazioni corporee. Questo implica che possiamo essere consapevoli di sentirci arrabbiati, tristi, o impauriti o essere consapevoli di un senso di pericolo, o di una sensazione di oppressione allo stomaco, o di leggerezza e così via. Emozioni e sensazioni insieme ci forniscono una bussola per la navigazione attraverso la nostra vita.

Espressione. Esprimere le emozioni nel setting psicoterapico non significa sfogarsi, ma piuttosto coinvolgere il corpo in una azione che aiuta a superare l’evitamento esperienziale, allenta la tensione muscolare, e genera cambiamenti neurochimici e fisiologici al di là della consapevolezza, cambiando l’organizzazione del sé e le interazioni con gli altri.

Regolazione. Un altro importante processo di cambiamento è sviluppare la capacità di tollerare e regolare una emozione nel momento in cui si sta vivendo. La capacità deliberata di regolazione delle emozioni coinvolge processi come l’identificazione e l’etichettatura delle emozioni, l’accettazione e la tolleranza di esse, la capacità di calmarsi, l’impiego della respirazione e la capacità di spostare l’attenzione. Un altro aspetto importante della regolazione comporta lo sviluppo di un sé osservante che può notare l’emozione, prendendone una distanza che permette di non esserne in balia, soprattutto quando l’emozione è molto forte e intensa. In questo modo la persona può osservare, ad esempio, la propria tristezza in seguito ad un lutto, con la stessa distanza da cui si osserva uno spettacolo teatrale: questo non farà andare via l’emozione, bensì permetterà alla persona di poterci stare.

Riflessione. Promuovere la riflessione sui vissuti emotivi aiuta le persone a dare un senso alla loro esperienza e ne promuove l’assimilazione nei processi di auto-narrazione. Infatti, quello che facciamo della nostra esperienza emotiva ci rende quello che siamo, per cui la riflessione aiuta a creare nuovo significato e sviluppare nuove narrazioni per comprendere l’esperienza e vedere nuove possibilità (Angus & Greenberg, 2011; Greenberg & Angus, 2004; Greenberg & Pascual-Leone, 1997, 2001; Pennebaker, 1995).

Trasformazione. Un altro modo per lavorare con le emozioni nella terapia comporta la sostituzione di una emozione disadattiva, come la paura e la vergogna, con una emozione più funzionale, come la rabbia assertiva, la tristezza per il dolore, o la compassione per sé (Greenberg, 2002, 2010).

Esperienza emozionale correttiva. Infine, un altro modo per cambiare un’emozione è quello di avere una nuova esperienza che cambia il significato di un vecchio sentimento. Nuove esperienze che, per esempio, suscitano benessere nella relazione con l’altro in una persona con fobia sociale, sono in grado di correggere i modelli arcaici di comportamento e di risposta. Alexander, figura di riferimento della Scuola di Chicago, fu tra i primi portare l’esperienza emozionale correttiva nel trattamento terapeutico, un’esperienza reale grazie alla quale il paziente raggiungeva la percezione emotiva di non essere più un bambino di fronte, ad esempio, un padre onnipotente (Rizzi, Boccasso, Casetta, 2012).

Una nota importante, a questo punto, è che non tutte le emozioni sono allo stesso modo facili da modificare. Ad esempio, la vergogna è stata identificata da Tangney (2007) come una delle emozioni più difficili da cambiare e, al tempo stesso, più pericolosa per la salute e il benessere dell’individuo. La vergogna, infatti è una emozione morale che riguarda la valutazione di se stessi, e, quando l’individuo ha una forte tendenza a provare vergogna, crede profondamente che il suo sé sia sbagliato in modo stabile, non modificabile e non controllabile. La vergogna innesca comportamenti di evitamento e di allontanamento o aggressione dell’altro. Pazienti con problemi di rabbia distruttiva e pervasiva, ad esempio, potrebbero avere un forte nucleo di vergogna. Con la vergogna è difficile relazionarsi: il paziente si nasconderà, si terrà distante, si coprirà con atteggiamenti aggressivi o giudicanti, perché è proprio questo che fa la vergogna! Le ricerche su questa emozione hanno messo in luce come chi è propenso ad essa ha una probabilità maggiore di sviluppare una psicopatologia, per cui lo psicoterapeuta, nel suo studio, oltre a lavorare sulle emozioni “target” che sembrano all’origine del problema, dovrebbero considerare anche la possibilità di individuare l’eventuale presenza di un nucleo profondo di vergogna che potrebbe essere, talvolta, la chiave di svolta del processo di cambiamento.

Al di là delle tecniche, il lavorare con la vergogna implica una profonda e sincera relazione affettiva col paziente, che possa garantirgli la protezione, l’accoglienza e un atteggiamento di totale assenza di giudizio.

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