Training mentale per musicisti: come combattere l’ansia da prestazione

ansia da prestazione musicisti

Immagina di essere dietro le quinte, i tuoi colleghi nervosi, un indaffarato andare e venire di persone. Il teatro è gremito di persone e visi indistinti, distratti, da cui emerge un rassicurante brusio.

Poi ad un tratto le luci si abbassano e il brusio si spegne- sapevamo che quel momento sarebbe arrivato. Sotto la morsa dell’ansia facciamo esattamente il contrario di quello che il nostro istinto ci suggerisce, e coraggiosi (o pazzi incoscienti) andiamo ad abbracciare l’incertezza e a tuffarci nella performance. 

 

Se stai leggendo questo articolo, ti sarà probabilmente capitato di trovarti in una situazione simile e sai che quel momento in cui ci tuffiamo nella performance può trasformarsi in qualcosa di magico e strepitoso, o in un incubo orrendo che lascia una ferita sanguinante dentro di noi. È impossibile sentirsi sereni e rilassati in quel momento, eppure l’ansia che ci accompagna non ci piace, è sgradevole e a volte ci spaventa, minaccia la fiducia in noi stessi, vorremmo sbarazzarcene, ci raccontiamo che se tutto andrà storto, sarà stata colpa sua. Tuttavia, l’ansia non è il problema: come dimostrato in vari studi sulla performane, esiste un livello ottimale d’ansia che rende la performance migliore, aumentando i livelli attentivi e riducendo il senso di stanchezza. L’ansia, quando siamo sul palco, è nostra amica. Ma quando è troppo intensa, l’ansia compromette la nostra attenzione, rendendoci annebbiati, o troppo tesi per riuscire a suonare come vorremmo, e questo innesca una reazione a catena di frustrazione, paura, autocritica che inizia a farci dubitare di noi stessi e delle nostre capacità. La performance non è più un eccitante momento in cui connettersi, giocare col pubblico, immergersi nella musica, ma diventa un momento di terrore.

Cosa rende l’ansia “troppo intensa”? Quando smette di essere nostra amica e diventa una gabbia che ci impedisce di vivere la musica? A queste domande hanno cercato di rispondere vari ricercatori che si sono occupati di ansia da performance e la panoramica che ne è uscita da 40 anni di letteratura sull’argomento è davvero ampia e complessa. Studiando libri e articoli scientifici non esiste una chiara definizione di cosa sia l’ansia da performance: diversi autori danno descrizioni diverse del fenomeno e questo implica che ciò che per alcuni è ansia da performance, per altri non lo è.

Tuttavia, numerosi anni di studio e di esperienza ci hanno permesso di crearci una visione dall’alto e ci siamo fatti una nostra umile idea sul tema “ansia da performance”, che non è meglio delle altre, ma è quella che abbiamo trovato più utile nell’aiutare i nostri musicisti a ritrovare il bello del suonare in pubblico.

Il nostro approccio si scosta un po’ da quelli più “venduti” perché:

  • È poco focalizzato sull’ansia: abbiamo detto che l’ansia è nostra amica e ci deve essere, quindi insegnare tecniche di rilassamento certamente aiuta, ma nella nostra esperienza aiuta quando siamo a casa per diventare più consapevoli e prenderci cura di noi stessi, meno quando mettiamo piede sul palco.
  • Non siamo coach: insegnare una serie di tecniche per ottimizzare la performance non è il nostro scopo. Neanche della performance, tutto sommato, ci interessa granché. Il nostro desiderio è che i musicisti ritrovino il senso di quello che fanno, la bellezza della musica, potendola rivivere fin dentro le ossa. La musica è un’arte “nobile”, spirituale, non la si può afferrare con la razionalità e una manciata di tecniche. Perché sia musica, ci dev’essere il cuore, o l’anima, o le emozioni… o chiamatele come volete, ma se siete musicisti, di sicuro avete capito di cosa stiamo parlando.
  • Siamo psicologi, abbiamo studiato i disturbi mentali, le emozioni, il cervello. Questo ci dà un livello di analisi molto più approfondito e complesso dei problemi e, come accennato prima, siamo scesi dal piedistallo e abbiamo imparato la grande lezione che la verità assoluta non esiste. La psicologia non è una religione, è un invito a essere curiosi e a volerci più bene. In questo testo vi daremo delle linee guida e vi insegneremo come funziona (male!) la nostra mente. Siate curiosi di scoprire cosa vi piace, cosa non vi piace, cosa non capite e cosa proprio non vi appartiene. Alcune pratiche che vi suggeriremo di provare vi illumineranno, riguardo ad altre dubiterete seriamente di noi e le troverete terrificanti. Deve essere così, questo sarà il segnale che state facendo un grande lavoro su voi stessi e che state trovando la vostra strada.

Perché definire l’ansia da performance musicale

Proviamo a dare una definizione che ci sia utile di ansia da prestazione, tratta da Dianna T. Kenny (2009), psicologa psicoterapeuta australiana che ha pubblicato diversi articoli, libri e strumenti sull’argomento.

“L’ansia da performance è un’esperienza di ansia marcata e persistente legata alla performance musicale che emerge da vulnerabilità psicologiche e/o biologiche e/o da esperienze di condizionamento all’ansia precedenti.  Si manifesta attraverso sintomi di tipo cognitivo, affettivo, somatico e comportamentale. Può presentarsi in varie situazioni di performance, ma si acutizza in situazioni dove è minacciata l’immagine di sé, come le audizioni e i contesti in cui si ha paura di fallire. L’ansia da performance può essere focalizzata o presentarsi insieme ad altri disturbi d’ansia come la fobia sociale. L’ansia da performance colpisce musicisti lungo tutto il corso della loro vita, e dipende solo in minima parte dagli anni di training, dalla pratica, dal livello di riconoscimento musicale. Può o meno compromettere la qualità della performance musicale.”

 

L’ansia da performance è un’esperienza di ansia marcata e persistente legata alla performance musicale che emerge da vulnerabilità psicologiche e/o biologiche e/o da esperienze di condizionamento all’ansia precedenti.

Analizzando la definizione, il primo punto di interesse che ci è utile è la sua origine. La Kenny parla di vulnerabilità biologiche o psicologiche: scopriremo più avanti che il nostro cervello non è un organo perfetto e meraviglioso, a dir la verità le neuroscienze e gli studi di psicologia hanno dimostrato che è pieno di trappole e di “bug” di programmazione che lo predispongono ad entrare in una modalità di allarme e difesa (che si manifesta con l’ansia e pensieri disfunzionali) piuttosto di frequente. Così, siamo tutti vulnerabili al giudizio sociale, alla paura del fallimento, a subire nel lungo termine gli effetti di eventi traumatici. Aggiungiamo il crescere in un contesto di critica, perfezionismo e qualche esperienza negativa che fa parte del percorso o, per i musicisti, il dover eseguire passaggi anche tecnicamente molto complessi, di fronte talvolta a migliaia di volti seri e sconosciuti, in presenza di stanchezza data da viaggi e trasferte, orari pressanti, colleghi e compagni di leggio poco amichevoli e lontano dalla propria famiglia… ed ecco che non è così difficile rimanere intrappolati in meccanismi di ansia e malessere.

Si manifesta attraverso sintomi di tipo cognitivo, affettivo, somatico e comportamentale.

Il secondo aspetto interessante è l’estrema variabilità dei sintomi: perdita di concentrazione, pensieri intrusivi, rigidità, estrema sudorazione, senso di dissociazione, leggerezza, tremori sono solo alcuni dei numerosi sintomi che i musicisti riportano quando salgono sul palco. Questi sintomi possono presentarsi all’improvviso come un fulmine a ciel sereno e sovrastare completamente la persona, oppure insinuarsi giorni o settimane prima della performance, compromettendo il sonno, l’alimentazione e il benessere in generale.

Può presentarsi in varie situazioni di performance, ma si acutizza in situazioni dove è minacciata l’immagine di sé, come le audizioni e i contesti in cui si ha paura di fallire.

Il terzo elemento di nostro interesse è l’immagine di sé. L’idea che noi abbiamo di noi stessi può diventare una delle trappole più grandi per la nostra vita. L’immagine di sé è legata a orgoglio e fierezza, quando va tutto bene, ma è un attimo che si intrecci con vergogna e autocritica, due serie minacce del nostro benessere psicologico.

L’ansia da performance può essere focalizzata o presentarsi insieme ad altri disturbi d’ansia come la fobia sociale.

Il quarto elemento riguarda l’essere un disturbo focalizzato o che emerge da un quadro di personalità di carattere più ampio. Quando l’ansia da performance è legata ad aspetti di fobia sociale, o di depressione, o di personalità evitante, il tipo di intervento per risultare efficace dovrà modificarsi. Per questo ridurre un intervento per gestire l’ansia da performance a una manciata di tecniche, è davvero riduttivo se non dannoso: quando il problema ha un’origine più radicata, le tecniche non avranno effetto e il rischio è che la persona si senta ancor di più “rotta”, inadeguata, senza speranza. Per questo riteniamo che una conoscenza della complessità del problema sia necessaria per affrontarlo al meglio e un quadro complessivo della personalità del musicista (vale a dire degli schemi di comportamento e di pensiero che possono essere disfunzionali), può indirizzare nell’intervento e nella scelta delle pratiche e del percorso più utile.

L’ansia da performance colpisce musicisti lungo tutto il corso della loro vita, e dipende solo in minima parte dagli anni di training, dalla pratica, dal livello di riconoscimento musicale.

Il quinto punto della definizione pone l’accento sul fatto che l’ansia non dipende necessariamente né dall’esperienza, né dalla bravura. Spesso nelle scuole ai ragazzi che studiano musica viene detto che l’ansia passa da sola con l’esperienza (FALSO), che se non si ha da giovani, poi non viene più perché è una questione di carattere (FALSO), che basta studiare tanto e prendere confidenza coi passi e con lo strumento (FALSO), che alcuni “rituali” prima della performance aiutano (FALSO). Esistono, insomma, numerosi falsi miti sull’ansia da performance e il problema non viene completamente esaminato. Questo accade in contesti di studio, come i conservatori, poi, l’invalidazione del problema continua ed è presente anche nelle orchestre di professionisti. Generalmente c’è una forte tendenza a far finta di niente e a negare l’ansia, per cui sembra che chi ne soffre sia sempre l’unico fragile e inadeguato della situazione e che nessuno lo debba sapere. Questa invalidazione acuisce il problema e aumenta il malessere e il senso di solitudine. In una review del 2019 Fernholz e colleghi, analizzando 43 studi riguardando la prevalenza dell’ansia da performance nei musicisti, stimano che sia un serio problema di un musicista professionista su tre.

Può o meno compromettere la qualità della performance musicale.

Il sesto e ultimo punto della definizione è che l’ansia può o meno compromettere la qualità della performance. Talvolta, nonostante la forte ansia, la familiarità acquisita nel suonare un pezzo è tale per cui attivando il pilota automatico le mani vanno letteralmente da sole e si riesce ad arrivare in fondo senza errori o problemi. Tuttavia il vissuto del musicista rimane ai limiti del traumatico, c’è poca soddisfazione, uno scarso senso di connessione e la perdita del senso di quello che si sta facendo. Per questo motivo, al di là della qualità della performance, vivere il problema dell’ansia compromette il benessere del musicista nel lungo termine molto di più di quanto faccia un errore durante l’esecuzione: possono emergere depressione e burnout, che portano il musicista a scelte anche estreme, come abbandonare la musica.

Ci piace questa definizione di ansia da performance perché:

  • Valida il fatto che se ne soffriamo non è per colpa nostra, ma perché il nostro cervello è un organo vulnerabile. L’ambiente della musica e della performance è difficile e ci espone a numerose fragilità insite in ognuno di noi, in quanto esseri umani. Questo implica che conoscere come funziona il nostro cervello e quali sono i suoi punti fragili ci può aiutare a sbrogliare un primo nodo che ci porta a soffrire di ansia da performance. Il prossimo capitolo parlerà proprio di questo, vale a dire di come funziona il nostro cervello.
  • Mette l’accento sui sintomi che riguardano il corpo e la mente e proprio sul corpo e sulla mente hanno effetto numerose pratiche di meditazione che aiutano il musicista non a lottare contro i sintomi, ma a spostare l’attenzione sulle proprie risorse. Il corpo, le emozioni, l’immaginazione, l’attenzione sono alla base del vivere a pieno l’esperienza della musica. Basta sapere come fare e il training mentale è finalizzato anche ad insegnarti una serie di tecniche di meditazione che possono essere utili per cessare la lotta contro l’ansia e focalizzarsi su ciò che conta per noi.
  • Ci mostra qual è il pericolo per cui ci viene l’ansia: intaccare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Il sé è un capitolo infinito della psicologia e delle neuroscienze e gioca un ruolo determinante nell’ansia da performance. Poter pensare a chi siamo con più leggerezza è una chiave di volta fondamentale, seppur difficile da afferrare .
  • Il problema dell’ansia da performance non è la qualità della performance, ma la qualità della vita del musicista e il dargli la possibilità di esprimere e vivere la musica con l’amore e la libertà che merita. Durante il training parleremo di valori, di benessere, di come la attraverso la musica possiamo coltivare emozioni positive come la connessione, la trascendenza, la gratitudine, la compassione.

COME COMBATTERE L’ANSIA DA PRESTAZIONE DEI MUSICISTI

Il training mentale per COMBATTERE L’ANSIA DA PRESTAZIONE  nei musicisti aiuta i musicisti a gestire l’ansia e a migliorare la concentrazione e la connessione emotiva ai fini della performance.

Questo implica sia imparare a gestire l’ansia, rendendola ottimale, sia apprendere tecniche per avvicinarsi allo stato di Flow.

Le tecniche del training sono alla base dello sviluppo:

-della concentrazione,

-della consapevolezza delle emozioni legata all’espressione emotiva durante l’esecuzione

-della gestione del pre e del post performance.

Il training mentale per musicisti consiste in 6-12 incontri personalizzati in cui vengono insegnate tecniche meditative e immaginative da esercitare giorno dopo giorno insieme allo studio dello strumento.

Gli incontri possono essere fatti in presenza od online e, alla fine di ogni incontro vengono lasciate le tracce audio per esercitarsi.

Il training è svolto individualmente, in presenza o online da Laura Casetta o Michele Bargigia.

 

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