TRATTAMENTO DEI DISTURBI ALIMENTARI – ACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY VERSUS COGNITIVE THERAPY

ACCEPTANCE AND COMMITMENT THERAPY VERSUS COGNITIVE THERAPY PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI ALIMENTARI

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è tuttora considerata la più efficace per il trattamento di disturbi alimentari, in particolar modo della bulimia (NICE, 2004). Il percorso clinico per un paziente che si presenta con bulimia è di 20 incontri il cui obiettivo principale è la normalizzazione del comportamento alimentare, la riduzione delle diete intraprese, l’eliminazione delle abbuffate e dell’assunzioni di lassativi e il cambiamento di credenze, pensieri e valori che mantengono il disturbo alimentare. Lo stesso protocollo può essere usato, con qualche variazione, anche sui tempi,  sui pazienti con disturbo di anoressia. La CBT si è dimostrata efficace in tempi brevi e con effetti positivi sul lungo termine (Waller e altri, 1996). Nonostante ciò, un sottogruppo relativamente ampio di persone che ricevono il trattamento non raggiungono risultati significativi sul piano clinico, infatti alcuni studi affermano che solo una percentuale del 30-50 % dei pazienti smette di avere abbuffate o di assumere lassativi. Questo implica che, nonostante l’efficacia provata della CBT, c’è ancora spazio per un miglioramento nel trattamento dei disturbi alimentari.

Come risolvere i disturbi alimentari

Le ragioni che rendono il disturbo alimentare difficile da risolvere sono:

1- I pazienti con un disturbo alimentare (in particolar modo quelli di anoressia) spesso non sono motivati verso un cambiamento nel loro comportamento alimentare, soprattutto quando ritengono che la loro condotta nei confronti del cibo li abbia aiutati a perdere del peso e che siano finalmente vicini al loro peso ideale (Varderlinden, 2008). Questo comporta un rifiuto ad intraprendere qualsiasi percorso mirato direttamente al cambiamento del loro comportamento alimentare.

2- La CBT cerca di modificare il contenuto delle cognizioni legate all’alimentazione. Purtroppo, la natura egosintonica di questi pensieri può renderli particolarmente difficili da modificare direttamente.

3- Molti comportamenti alimentari non salutari sono funzionali all’interno del contesto  del sistema di credenze del paziente. Ad esempio, se qualcuno crede di pesare troppo e di dover dimagrire, il comportamento di dieta estrema o di assunzione di lassativi è funzionale, almeno temporaneamente, a questo pensiero.

L’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) può essere una valida alternativa alla CBT per diverse ragioni. Innanzitutto piuttosto che modificare direttamente i pensieri e le credenze sul peso e sull’immagine corporea, l’ACT si focalizza sulla relazione che il paziente ha con essi. Il terapeuta ACT insegna al paziente a non controllare i propri pensieri e le proprie sensazioni interne che causano sofferenza, e propone invece l’accettazione di essi, al di là che questi siano veri o falsi. Ad esempio, è probabile che pensieri riguardanti le imperfezioni del proprio corpo siano veri, e che di conseguenza sia molto difficile contrastarli o modificarli. L’accettazione invece permette al paziente di riconoscere il pensiero e di osservarlo senza giudizio, consapevole del dolore che comporta, in modo da imparare a conviverci senza mettere in atto comportamenti non salutari per cercare di fermare o far sparire tale pensiero. Questo abbassamento del controllo cognitivo sembra essere centrale nei disturbi alimentari (Tiggemann e Raven, 1998).

L’ACT può essere molto utile anche perché lavora sui valori della persona e non direttamente sul comportamento alimentare problematico. Così, un iniziale tema trattato con i pazienti con disturbo alimentare è chiarire quali sono i loro valori, cosa è importante e individuare degli obiettivi, in modo da orientare il loro comportamento verso qualcosa che possa arricchire di significato la loro vita e che possa successivamente motivarli a stare con i pensieri e le loro sensazioni interne spiacevoli e che sono alla base del disturbo.

 

 

Bibliografia

Waller, D., Fairburn, C. G., McPherson, A., Kay, R., Lee, A., & Nowell, T. (1996). Treating bulimia nervosa in primary care: A pilot study.International Journal of Eating Disorders,19(1), 99-103.

Vanderlinden, J. (2008). Many roads lead to Rome: Why does cognitive behavioural therapy remain unsuccessful for many eating disorder patients?.European Eating Disorders Review,16(5), 329-333.

Tiggemann, M., & Raven, M. (1998). Dimensions of control in bulimia and anorexia nervosa: Internal control, desire for control, or fear of losing self-control?.Eating Disorders,6(1), 65-71.

National Institute for Clinical Excellence (NICE). (2004). Eating disorders—Core interventions in the treatment and management of anorexia nervosa, bulimia nervosa and related eating disorders (Clinical Guideline No. 9). London: Author. Available from www.nice.org.uk/guidance/CG9

Juarascio, A. S., Forman, E. M., & Herbert, J. D. (2010). Acceptance and commitment therapy versus cognitive therapy for the treatment of comorbid eating pathology. Behavior Modification34(2), 175-190.

 

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